Zootecnia

Mercato latte sereno grazie a Cina, Oceania, Francia e Germania

Sta crescendo la domanda mondiale di latte, con importazioni globali fra gennaio e dicembre 2019 nell’ordine del 3,7% su base tendenziale, trainate dall’Asia e dal Sud Est Asiatico (+6,7% rispetto ai 12 mesi precedenti) e con l’Africa, continente al centro della 114a edizione di Fieragricola, che mostra una domanda in crescita del 4,7 per cento.

I dati, affermano gli analisti di Clal.it, portale di riferimento per il settore lattiero caseario, è una premessa positiva per una sostanziale stabilità dei prezzi, almeno per il primo semestre del 2020. Uno scenario che dovrebbe rassicurare i produttori di latte e spingerli a investire non tanto in una maggiore produzione lattiera, quanto a migliorare gli aspetti legati alla sostenibilità ambientale, economica e sociale, puntando anche sul benessere animale e sulla riduzione dei costi di produzione, senza intaccare la qualità. Elementi che incideranno sempre più spesso sia nell’approccio ai consumi che, di rimbalzo, nei prezzi riconosciuti agli allevatori.

Il futuro, secondo il professor Giuseppe Pulina, professore ordinario di Zootecnica special all’Università di Sassari e relatore al convegno organizzato da Assalzoo con la rivista Allevatori Top, in programma a Fieragricola domani 31 gennaio (ore 11, Sala A, Galleria 11/12), va verso la direzione di una più elevata produttività per capo.

“Una vacca che produce molti litri di latte è più sostenibile rispetto a una vacca che produce poco – spiega Pulina -. Se portassimo la produzione per singolo capo a 20mila litri all’anno, obiettivo alla portata, oggi saremmo al 25% di emissioni rispetto alle emissioni globali per i gas climalteranti rilevati nel 1990, saremmo a poco meno della metà per il fosforo e meno della metà per l’azoto”.

Le strategie per incrementare la resa delle bovine devono, per il professore, «essere inevitabilmente congiunte e passare da un approccio sistemico, prevedendo allo stesso tempo un miglioramento genetico, l’adozione di strumenti di agricoltura e zootecnia di precisione, aumentando il benessere animale e gli spazi in stalla».

Si concretizza nel settore del latte la teoria dell’effetto farfalla, secondo la quale il più piccolo movimento di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo.
Per il Team di Clal.it la prova sta nei numeri delle produzioni e dell’export in equivalente latte (ME, formula che comprende il latte liquido e condensato, le polveri di latte, il formaggio, lo yogurt). L’Oceania – spiegano a Fieragricola – produce appena il 5% dell’intera produzione mondiale in milk equivalent, eppure le sue esportazioni rappresentano il 31% di tutto il commercio internazionale di latte e derivati.

Ciò significa che l’andamento del mercato in Australia e Nuova Zelanda, alle prese con cali di produzione come conseguenza di calamità o cambiamenti climatici, incendi e siccità, esercita una certa influenza sul mercato globale. Così, se per la Nuova Zelanda la flessione produttiva è stata dello 0,43% fra giugno e dicembre 2019 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, l’Australia sta facendo i conti con una fase di tensione, con una perdita stimata di almeno 70.000 bovine da latte e una domanda di foraggi di giorno in giorno sempre più assillante, dopo la profonda devastazione del fuoco.

I prezzi del latte su scala mondiale, dunque, dovrebbero mantenersi sostenuti (o comunque in equilibrio, ma su un piano soddisfacente per gli allevatori), visto che su scala planetaria mancherebbero all’appello oltre 6 milioni di tonnellate di equivalente latte. Accelerare sulle produzioni significherebbe alterare una situazione positiva per i listini, con una domanda più elevata rispetto alla disponibilità di prodotti.

La Cina è il primo Paese importatore di latte e derivati al mondo, con volumi ritirati in costante crescita. La Cina, principale Paese importatore nel settore lattiero caseario a livello planetario, anche nel mese di novembre ha segnato un’accelerazione dell’import di burro (+108% su base tendenziale), latte confezionato (+7%), polvere di latte intero (+55,8%), formaggio (+20 per cento).

Il deficit di carne suina provocato dall’impatto della peste suina africana, con la stima di non ritornare ai livelli produttivi pre-crisi prima del 2025, impone alla Cina di cercare altre fonti proteiche di origine animale. L’import nel settore lattiero caseario, pertanto, dovrebbe mantenersi su livelli sostenuti e crescenti, tenuto conto che il tasso di autoapprovvigionamento ha segnato una curva discendente fra il 2015 e il 2017 (ultimi dati disponibili). Resta da vedere che impatto avrà sulle rotte commerciali la questione sanitaria, ad oggi argomento caldo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I produttori di latte lombardi sono in attesa di rinnovo del contratto che, per l’importanza, di fatto rappresenta un punto di riferimento su base nazionale. La Lombardia, infatti, è la prima regione lattiera d’Italia con una produzione di 4.862.436 tonnellate (dato gennaio- novembre 2019, fonte: Clal.it) pari al 44% del totale nazionale. L’accordo che si raggiungerà nelle prossime settimane sarà influenzato anche dai trend mondiali. Anche in questo caso, le premesse fanno ipotizzare a una sostanziale tranquillità per i produttori, anche alla luce di produzioni ribassiste non soltanto in Italia (-0,3% fra gennaio e novembre 2019).

 

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