Zootecnia

Ue rischia di lasciare l’Italia senza carne

 

 

“La proposta della Commissione europea spinge alla chiusura in Italia migliaia di allevamenti che si trovano già in una situazione drammatica per l’insostenibile aumento di costi di mangimi ed energia provocati dalla guerra in Ucraina”. E’ quanto denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini in riferimento all’adozione della proposta di direttiva che allarga il campo di applicazione della norme sulle emissioni industriali ad allevamenti molto piu’ piccoli di quelli già previsti per l’allevamento suino e avicolo e inserisce anche l’allevamento bovino.

La nuova proposta di direttiva – spiega la Coldiretti – estende una serie di pesanti oneri burocratici a quasi tutti gli allevamenti dei settori suinicolo, avicolo e bovino che vengono considerati alla stregua di stabilimenti industriali e dovranno sottostare a rigide norme in materia di controlli ed autorizzazione con livelli di burocrazia e costi insostenibili soprattutto per alcune realtà marginali situate nelle aree interne.

“La Commissione europea continua a manifestare un orientamento punitivo nei confronti degli allevamenti, mentre i capi di Stato e di governo hanno chiesto di aumentare la sicurezza alimentare”. E’ la dichiarazione rilasciata dal presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, sulla proposta presentata dalla Commissione UE riguardante la revisione della direttiva sulle emissioni industriali ai fini della riduzione dell’inquinamento. La direttiva in vigore, varata nel 2010, copre anche gli allevamenti avicoli e suinicoli di maggiore dimensione.

“La Commissione ha proposto di inasprire gli obblighi già esistenti, con un pesante aumento dei costi amministrativi e burocratici – rileva Giansanti -. Attualmente solo il 5% degli allevamenti avicoli e suinicoli delle strutture attive negli Stati membri rientra nella sfera di applicazione della direttiva in questione. Sulla base delle proposte della Commissione si salirebbe al 50 per cento. E non solo: le nuove regole si estenderebbero anche agli allevamenti di bovini”.

“Una decisione che colpisce direttamente gli allevatori ed i consumatori in Italia che dipende già dall’estero – sottolinea Prandini – per il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale secondo l’analisi del Centro Studi Divulga. Il rischio è quello di colpire la produzione nazionale ed europea per favorire le importazioni da paesi extracomunitari spesso realizzate senza il rispetto degli stessi criteri, sanitari, ambientali e sociali richiesti all’interno dell’Unione Europea”.

“Serve senso di responsabilità – continua Prandini – da parte delle Istituzioni nazionali e della Ue affinché nei prossimi passaggi dell’iter legislativo in Parlamento ed in Consiglio UE, possa essere profondamente rivista la proposta della Commissione, con l’impegno dei Ministri coinvolti e degli eurodeputati italiani. L’Italia rischia di rimanere senza carne in una situazione in cui – precisa Prandini – gli allevatori italiani devono affrontare incrementi di costi pari al 57% secondo il Crea che evidenzia il rischio concreto di chiusura per una buona parte degli allevamenti italiani che si trovano costretti a lavorare con prezzi alla stalla al di sotto dei costi di produzione. In un momento in cui è sempre più evidente la necessità di puntare sulla sicurezza alimentare e sull’autosufficienza, a Bruxelles si rischiano di fare scelte che aprono la strada alla carne sintetica” conclude Prandini nel sottolineare che “la carne italiana nasce da un sistema di allevamento che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatori, con l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne”.

“Voglio anche sottolineare che faremo il possibile – conclude Giansanti – per contrastare la diffusione delle carni sintetiche. E chiederemo a tal fine il supporto del Parlamento europeo, del Consiglio e dei rappresentanti dei consumatori”.

Sotto il profilo procedurale, il testo varato dalla Commissione prevede di assegnare, dopo il via libera da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, un periodo massimo di diciotto mesi agli Stati membri per trasporre la nuova direttiva nell’ordinamento nazionale.

 

 

 

 

 

 

 

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