Mercati

Brexit salvo un mercato da 3,4 miliardi

Dopo 4 anni di negoziati fra Europa e Regno Unito è stato raggiunto in extremis un accordo che è un regalo di Natale a tutto il settore agroalimentare del Made in Italy, che potrà così continuare a esportare senza dazi o quote nel suo quarto mercato di sbocco commerciale, per un valore complessivo di 3,4 miliardi di euro. Secondo Cia-Agricoltori Italiani occorre adesso mantenere una stretta vigilanza sulla governance dell’accordo per evitare danni futuri alla libera e leale concorrenza. Questo risultato tanto atteso ha, infatti, evitato una rottura che avrebbe determinato ripercussioni economiche drammatiche, ma è solo un “primo passo” nella costruzione di un nuovo sistema di relazioni fra l’economia europea e quella della Gran Bretagna, ormai Paese terzo a tutti gli effetti, con conseguenze sulla libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali.  Secondo Cia occorrerà una stretta sorveglianza sul cosiddetto level playing field (la parità di condizioni sulla concorrenza), per fare in modo che Londra possa sì discostarsi dalla regolamentazione europea, ma senza il rischio di una concorrenza sleale alle aziende europee in merito agli aiuti di Stato e alle normative in campo fitosanitario e ambientale.

Dal 1° gennaio prossimo, esportare sul mercato britannico sarà comunque più complicato sotto il profilo documentale e dei controlli. Di conseguenza, aumenteranno i costi –  puntualizza la Confagricoltura, “Tutte le esportazioni dovranno essere accompagnate da una dichiarazione doganale. Per i vini, spumanti e liquori provenienti dalla Ue scatterà dal 1° luglio 2021 l’introduzione di certificati di importazione che prevedono anche lo svolgimento di un test di laboratorio”. “L’organizzazione degli agricoltori britannici (NFU) – prosegue il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – ha già segnalato al proprio governo il rischio di blocchi e rallentamenti del traffico alle frontiere a causa dei nuovi adempimenti”.

L’accordo raggiunto rappresenta per Cia una boccata d’ossigeno per il Made in Italy agroalimentare, specialmente in questa lunga fase pandemica con pesanti ricadute sul fronte della crescita economica. Un “no deal” avrebbe determinato barriere tariffarie, minore domanda interna nel mercato inglese e il deprezzamento della sterlina, penalizzando i prodotti italiani più venduti nel Regno Unito. In primis il vino, che rappresenta il 24% del totale delle esportazioni agroalimentari Oltremanica, con un fatturato superiore a 830 milioni di euro vini e spumanti rappresentano la voce più rilevante dell’export agroalimentare italiano nel Regno Unito.

Di assoluto rilievo anche il nostro export di ortofrutta trasformata (13%) e ortofrutta fresca (6%), così come dei prodotti da forno e farinacei (11%) e dei prodotti lattiero-caseari (9%).Hanno un forte impatto su questo primato i prodotti a indicazione geografica protetta (Igp), che incidono per oltre il 30% sulle nostre esportazioni verso Londra e che grazie all’accordo commerciale raggiunto continueranno a essere riconosciute e tutelate in territorio britannico.

Infine, è da mettere in preventivo un aumento della concorrenza ai nostri prodotti per gli accordi commerciali bilaterali che il Regno Unito, a seguito del recesso dalla Ue, sottoscriverà con i Paesi terzi. Un’intesa è già stata perfezionata con il Canada e le trattative sono in corso con gli Stati Uniti.

“Dobbiamo perciò rafforzare le iniziative promozionali a favore dei nostri prodotti sul mercato del Regno Unito – conclude Giansanti – e trovare nuovi canali di sbocco per il Made in Italy agroalimentare. Chiediamo al nostro governo di avviare rapidamente una riflessione sulle proposte, presentate ieri dalla Commissione Ue, per la ripartizione tra gli Stati membri della riserva di 5 miliardi di euro decisa dal Consiglio europeo, allo scopo di limitare l’impatto economico del recesso del Regno Unito”.

 

 

 

 

 

 

Condividi