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A maggio lievi rialzi per il latte spot con stalle fuori dal mercato con +55% prezzi mangimi  

 

I primi mesi del 2021 hanno mostrato, da un lato, un sostanziale calo dei prezzi all’ingrosso per il latte spot (latte sfuso in cisterna che viene commercializzato settimanalmente al di fuori degli accordi interprofessionali tra produttori e industria), arrivato a toccare il -6,2% ad aprile e dall’altro, un aumento dei costi per l’acquisto delle materie prime mangimistiche a causa dei forti rialzi dei prezzi della soia e del mais. E’ questo quanto emerge dalle elaborazioni di BMTI sui dati delle Camere di Commercio e delle Borse Merci. Lievi incrementi, determinati dal rallentamento della crescita produttiva nel nostro paese, hanno invece caratterizzato il mese di maggio.

Per quanto riguarda i formaggi, nonostante la stabilità dei primi mesi del 2021, i prezzi all’ingrosso dei DOP a lunga stagionatura si confermano, adesso, sui livelli pre-Covid grazie ai forti rialzi della seconda parte del 2020.

Un litro di latte viene, oggi, pagato alle stalle 0,37 centesimi al litro, al di sotto della soglia di sostenibilità finanziaria dei 39 centesimi, sotto la quale è impossibile un margine –pur risicato- di guadagno. Il colpo del ko definitivo potrebbe essere dato dallo shock dei prezzi di soia e mais, schizzati nell’arco di 12 mesi del +55%. In questo periodo, infatti, un quintale di soia è passato dai 45 ai 70 euro, massimo storico dell’ultimo ventennio. Questo aumento indiscriminato delle materie prime impiegate nell’alimentazione del bestiame non permetterà alle filiere di reggere a lungo: basti pensare che circa il 70% dei costi di produzione del latte è imputabile alla mangimistica.

Il latte sottocosto e i prezzi dei mangimi alle stelle mettono a rischio default gli allevamenti bovini italiani. Se il 2019 era stata un’annata positiva per il settore del latte, con una quotazione media nazionale del prodotto pari a 40,5 centesimi per litro, l’emergenza sanitaria e la chiusura del macro-settore relativo all’ospitalità e alla ristorazione (canale Horeca, solo in parte compensato dall’home delivery), hanno fortemente danneggiato il comparto lattiero-caseario. Gli allevamenti bovini vivono ora in uno stato di grande precarietà e continuano a perdere potere contrattuale. Così Cia-Agricoltori Italiani, in occasione della Giornata mondiale del latte. 

A questi problemi ascrivibili alla crisi pandemica, si aggiunge la crescente disaffezione dei consumatori verso il latte vaccino, con il proliferare di campagne mediatiche tese a criminalizzare il consumo di proteine animali, col conseguente calo degli acquisti del latte fresco del 5% annuo. A tali campagne denigratorie si aggiungono quelle sull’impronta di carbonio delle produzioni zootecniche, che non tengono conto della riduzione del 40% delle emissioni di gas serra dei nostri allevamenti. Le tante fake news finiscono, dunque, col danneggiare la salute di chi rinuncia ad alimenti di grande valore nutrizionale, sostituendoli con prodotti ottenuti da semi vegetali, che fanno di tutto per somigliare al latte senza però condividerne le qualità nutritive e gustative.

Secondo Cia è in gioco il futuro di un settore che produce ogni anno oltre 12,5 milioni di tonnellate di litri di latte vaccino grazie a circa 30mila allevamenti, con un fatturato di 16,5 miliardi di euro, che incide per l’11,5% sul totale del fatturato industriale dell’agroalimentare. Per Cia, occorre definire nuove strategie per la valorizzazione della crescente offerta produttiva (per esempio, produzione di latte in polvere per neonati, destinato particolarmente all’export) e puntare a mirate campagne promozionali con un efficace piano di comunicazione che racconti la bontà del prodotto e tutti gli aspetti positivi della filiera che la compone.

Ogni anno in Italia si producono 12 milioni di tonnellate di latte di mucca, 500 mila tonnellate di latte di pecora, oltre 250 mila di latte di bufala e 60 mila di latte caprino con la piramide alimentare che prevede un consumo di 2-3 porzioni al giorno. L’allevamento italiano – sottolinea la Coldiretti – è un importante comparto economico che vale 17,3 miliardi di euro e rappresenta il 35 per cento dell’intera agricoltura nazionale, con un impatto rilevante anche dal punto di vista occupazionale dove sono circa 800mila le persone al lavoro.

 

 

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