Primo trimestre export vino Italia: numeri positivi, ma non basta
Dall’analisi di Unione Italiana Vini nel cumulato del primo trimestre l’export italiano di vino è progredito sia in volume (+6%, a 5,1 milioni di ettolitri), sia in valore (+5%, a 1,5 miliardi di euro). Una performance che in linea generale potremmo definire positiva, ma che deve essere inquadrata in un contesto di forte fibrillazione, caratterizzato da eventi – Covid-19 – e circostanze – tariffe americane – che hanno inciso e incideranno in maniera molto forte sulla regolarità delle nostre spedizioni.
Per fare alcuni esempi, negli Stati Uniti la prospettiva di nuove tariffe sui vini europei ha spinto gli operatori a incrementare fortemente a inizio anno gli acquisti di vini di fascia alta, in particolare vini Dop piemontesi (+8%), toscani (+20%) e veneti (+16%). A fronte di questi movimenti, il saldo generale dell’import americano nel primo trimestre vede +10% a valore, ma segno meno sui volumi (-3%), a dimostrazione del fatto che nel prosieguo del trimestre l’impellenza si è via via sgonfiata.
Il Covid invece ha inciso fortemente sui Paesi che per primi hanno sperimentato l’epidemia: quindi Cina, Corea del Sud e Giappone, tutti con variazioni negative importanti, come peraltro già successo per altri supplier, come Francia, Australia, Cile e Spagna. L’Italia segue questo andazzo: in Cina, – 44% sui volumi dei vini fermi e frizzanti confezionati, associato a -40% sul fronte valori. Dinamica fortemente negativa in Corea del Sud (-19%), ma soprattutto in Giappone, che chiude il primo quarto a -8%, e la cosa è ben più preoccupante visto che Tokyo sta nella top 10 delle destinazioni italiane. Ancora il Covid è andato a incidere anche sulle performance del vino sfuso: nel solo mese di marzo i sismografi hanno registrato uno scossone tellurico al rialzo (+23% volume), generato solo e soltanto da un mercato, quello tedesco: quando è scoppiata la pandemia in Italia, gli imbottigliatori tedeschi si sono precipitati a ritirare tutto quello che hanno potuto per non vedersi bloccate le cisterne al Brennero. Nel trimestre, l’import di sfuso segna balzi del 35%, con punte del 40% in valore per i rossi comuni, che – a differenza dei bianchi, inchiodati sui listini dello scorso anno – hanno visto un balzo dei prezzi medi del 30%, a 71 centesimi al litro.
Sul segmento florido degli spumanti, le crepe incominciano a essere più che evidenti anche a occhio nudo: la performance volumica di +19% (poco meno di 1 milione di ettolitri) va comparata con il magrissimo +3% lato valore, con prezzi medi in calo del 14%. Se il Prosecco fa +12%, lo deve agli Usa (+17%) e al lavoro fatto sulle piazze secondarie (Francia, Canada, Nord Europa), mentre Londra va indietro del 6%, e questo dovrebbe accelerare le dinamiche in atto di emancipazione parziale da questo mercato. Crescono a dismisura gli spumanti generici, tutti prodotti da smaltire della vendemmia 2018, dirottati soprattutto sul mercato tedesco, che ha visto gli acquisti decuplicare rispetto al marzo del 2019.
Rimessi i cosiddetti puntini sulle “i”, bisogna ora riflettere sul fatto che gli effetti del Covid che hanno condizionato le performance di inizio anno sono destinati a propagarsi da Oriente a Occidente e quindi le performance pur positive di inizio anno probabilmente avranno qualche limatura nel prosieguo dell’anno. Questo rallentamento preventivabile si innesta su una situazione interna che deve smaltire gli effetti di tre mesi di lockdown, con l’Horeca avviato su una lunga e problematica strada di convalescenza.
Oggi il settore sta incominciando a vendere il prodotto della vendemmia 2019: 47,5 milioni di ettolitri, in calo del 13% rispetto all’enormità del 2018, ma in media perfetta sugli ultimi dieci anni. Quindi, stiamo parlando di una vendemmia normale, il che spiega la difficoltà della produzione a far passare aumenti generalizzati dei listini: al di là dei casi Germania, lo sfuso viaggia sulle stesse quotazioni del 2019.
Quindi, il prodotto da vendere non manca, e lo dicono anche i dati di Cantina Italia: ai primi di giugno, il sistema dava 48 milioni di ettolitri, il che vuol dire che – riportando indietro di un mese le dichiarazioni – questa è la situazione di maggio, con in più un rallentamento evidente del fabbisogno medio, sceso da 3,3 milioni di marzo e aprile a 2,7 di maggio, quando insomma si incominciano a vedere gli effetti del lockdown sull’horeca. Questo non esclude che – andando avanti di questo passo, senza peggioramenti ulteriori – al 31 luglio si possa arrivare a chiudere la campagna con un saldo di 43 milioni di ettolitri, 5 in più del 2019.
I numeri dell’export registrati a marzo, in sostanza, pur essendo positivi, con questo passo non garantiscono l’equilibrio del nostro sistema, ma la situazione di ingessatura non riguarda solo l’Italia: anche Spagna, Francia, Cile, Australia vivono bene o male le stesse dinamiche. E’ lecito attendersi un ingolfamento del mercato, soprattutto quello europeo e nordamericano, con inevitabili ripercussioni sulla dinamica già fragile dei listini.