Politiche agricole

Carne coltivata: il documento presentato dai ministri dell’Agricoltura di Italia, Austria e Francia è un esempio allarmante di disinformazione  

 

Durante l’Agrifish di oggi è in discussione un punto all’ordine del giorno proposto dal Ministro dell’Agricoltura austriaco con il sostegno della controparte italiana e francese sul tema della carne coltivata. Oltre al sostegno dei Ministri Lollobrigida e Fesneau, la delegazione austriaca ha raccolto nei giorni scorsi il supporto delle delegazioni della Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Ungheria, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania e Slovacchia.

La nota messa all’ordine del giorno — dal titolo “Il ruolo della politica agricola comune nella salvaguardia di una produzione alimentare di alta qualità” — non ha carattere legislativo, ma è un segnale politico allarmante perché contiene inesattezze, nonché esempi di vera e propria disinformazione sulla tematica che impedisce una sana discussione basata su dati oggettivi e scientifici. Pur citando esplicitamente la Politica Agricola Comune (PAC), la nota in questione si concentra in realtà sulla richiesta di quattro modifiche chiave al processo di approvazione normativa dell’UE per la carne coltivata, con lo scopo esplicito di renderne più difficile il processo di introduzione sul mercato:

● Chiede alla Commissione europea di presentare una valutazione sull’impatto della carne coltivata prima di qualsiasi autorizzazione normativa, per includere considerazioni etiche, economiche, sociali;

● Chiede che l’EFSA crei linee guida sulla regolamentazione delle carni coltivate, ispirandosi al processo normativo per i nuovi prodotti farmaceutici, compresa la necessità di studi preclinici e clinici;

● Invita la Commissione a lanciare una consultazione pubblica sulla carne coltivata;

● Invita la Commissione a garantire che l’etichettatura della carne coltivata sia limitata per evitare l’uso del termine “carne”, nonostante si tratti a tutti gli effetti di carne.

La nota invita infine la Commissione e gli Stati membri a prendere provvedimenti preventivi contro la monopolizzazione della produzione alimentare e a sostenere la diversificazione della produzione alimentare basata sulle aziende agricole in Europa.

Queste richieste presentate nel documento si basano su una serie di informazioni che sono fuorvianti, inesatte e in alcuni casi del tutto false. Ad esempio viene affermato che la carne coltivata non sarebbe più ecologica di quella convenzionale, in quanto genera fino a 25 volte più CO2 equivalente per chilogrammo di carne prodotta.

Il dato citato nella nota proviene da uno studio del CLEAR center della University of California, Davis, finanziato dall’industria della carne. L’utilizzo di questo studio è parte di una campagna di disinformazione che viene da mesi presentato come affidabile nonostante non sia stato ancora sottoposto al processo di peer-review, un passaggio fondamentale per quanto riguarda gli studi scientifici. In realtà, se prodotta con energia rinnovabile, la carne coltivata potrebbe ridurre l’impatto climatico della carne fino al 92%, l’inquinamento atmosferico fino al 94% e utilizzare fino al 90% in meno di terreno rispetto alla carne bovina. E ad affermarlo è uno studio, in questo caso, peer-reviewed.

La nota mette inoltre in discussione l’attuale processo per l’autorizzazione dei cosiddetti novel foods, nonostante il quadro normativo attuale sia in realtà tra i più solidi al mondo, con un’attenzione rigorosa alla trasparenza e alla sicurezza dei consumatori. Il processo di approvazione dei prodotti a base di carne coltivata richiederà almeno 18 mesi e i tentativi di imporre barriere o di limitare la capacità della carne coltivata di arrivare sul mercato — prima che l’EFSA abbia avuto l’opportunità di esaminarne la sicurezza — minerebbero invece la legislazione alimentare vigente nell’UE. Inoltre, non terrebbe conto della ricerca sulla sicurezza di questo alimento già realizzata, come lo studio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

Un’altra affermazione a dir poco paradossale presente nella nota è che la carne coltivata non prevederebbe standard di benessere animale più elevati rispetto alla carne convenzionale. La dichiarazione fa riferimento al siero fetale bovino, utilizzato in passato per coltivare le cellule — e nel frattempo superato da formulazioni a base vegetale — e omette il dato che nei macelli europei vengano uccisi 8,4 miliardi di animali ogni anno (escludendo i pesci).

Il documento parla inoltre di un rischio elevato di monopolio da parte di pochi produttori industriali su larga scala, che produrrebbero carne coltivata ai danni dei piccoli allevatori con aziende a conduzione familiare. Al contrario, aziende di ogni forma e dimensione possono decidere di dedicarsi a questa produzione, a patto che i governi finanzino la ricerca open-access, anziché lasciare l’innovazione nelle mani di aziende private.

“La lobby dell’industria zootecnica sta portando in Unione Europea la stessa disinformazione che abbiamo visto circolare in Italia a sostegno del divieto di produzione e commercializzazione della carne coltivata e della censura dei prodotti vegetali. Ancora più paradossale l’atteggiamento del ministro Lollobrigida che ora chiede a Bruxelles, insieme a Francia e Austria, un approccio trasparente, esauriente e scientifico sulla carne coltivata, mentre in Italia ha introdotto un divieto basato su una visione ideologica e del tutto anti-scientifica sul tema, difendendo gli interessi delle aziende del comparto zootecnico ai danni del settore delle proteine vegetali, molto più rispettoso dell’ambiente e degli animali. Senza dimenticare che in Italia il dibattito è stato soffocato in Parlamento senza dare accesso a tutti gli stakeholder alle consultazioni presso le Commissioni parlamentari competenti e arrivando addirittura all’aggressione di due parlamentari”, ha affermato Claudio Pomo, responsabile sviluppo di Essere Animali.

 

Essere Animali lavora con società, istituzioni e aziende per riconoscere tutele adeguate agli animali allevati a scopo alimentare, garantendo loro di poter esprimere i propri bisogni naturali. Lavoriamo per porre fine agli allevamenti intensivi e promuovere il passaggio a un sistema alimentare sostenibile e che preveda la transizione a un’alimentazione a base vegetale e senza sofferenza animale. 

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