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Braccianti agricoli in piazza Montecitorio per protesta

 I braccianti agricoli sono scesi in piazza Montecitorio a Roma per protestare contro l’indifferenza, per “non rimanere invisibili e chiedere che vengano loro riconosciuti i diritti e il vaccino per tutti.
Il “movimento degli invisibili” chiede legalità, diritti, salute e libertà per tutti. A guidare il corteo il sindacalista Aboukar Soumahoro che dice: “Abbiamo manifestato perché per troppo tempo il sangue che scorre lungo la filiera agricola, l’inferno dello sfruttamento, si è scontrato contro il muro dell’indifferenza. Hanno due scelte: o danno delle risposte concrete a quello che chiediamo, il rilascio del permesso di soggiorno per emergenza sanitaria e vaccinano tutte e tutti, o sarà una stagione di scioperi”. Protestano e chiedono tutele per i lavoratori agricoli, non regolarizzati, malpagati e sfruttati. In piazza portano il simbolo della loro lotta, gli asparagi e gli altri prodotti della terra che sono costretti a raccogliere pochi euro all’ora. “La filiera fa oltre 538 miliardi di euro di valore di mercato, sottolineano – ma poi ci sono donne che non hanno la possibilità di fare visite ginecologiche perché non hanno la residenza”. I braccianti senza diritti sono italiani e stranieri. Per entrambi lavorare in nero significa accogliere un compromesso: lo sfruttamento in cambio del cibo. Senza quel lavoro non avrebbero da mangiare, accettano allora quel lavoro nonostante le condizioni mortificanti. Se le loro richieste non saranno accolte, sciopereranno in piena stagione di raccolto. I campi saranno vuoti, senza nessuno che zappi la terra, che raccolga i prodotti: “Condizioneremo la stagione di raccolta – dicono –  Il ministro delle politiche agricole dovrebbe venire ad ascoltarci nel fango della miseria e dello sfruttamento. Andasse il ministro del Lavoro a zappare la terra e si renderebbe conto che la maggior parte dei braccianti hanno problemi di schiena. Il presidente Draghi venisse ad ascoltare le nostre ragioni. I campi, in piena stagione, saranno deserti”. 

 

 

Aboubakar Soumahoro ieri era a Roma, a guidare il corteo dei braccianti. Sono arrivati fino a piazza Montecitorio, per far salire il loro grido di sofferenza fino alle stanze della politica, per gettare luce su un “dramma disumanizzante che si sta consumando tra le mura di casa loro”. “La filiera fa oltre 538 miliardi di euro di valore di mercato, ma poi ci sono donne che non hanno la possibilità di fare visite ginecologiche perché non hanno la residenza” dice Soumahoro ad Huffpost, “Ci sono lavoratori a cui è stato negato tutto: lavorano 12 ore al giorno per un salario misero, di 3 euro e 50 all’ora. Dormono nei tuguri, nelle baraccopoli, tra le lamiere. Non possono affittare una casa, non possono permetterselo. Lavorano 20 giornate al mese, ma all’Inps ne vengono notificate quattro, il che significa che non avranno i requisiti per la disoccupazione agricola”.

Si definiscono “invisibili” perché è come se nessuno li vedesse, nessuno si interessasse a loro, nonostante sia anche per il loro sfruttamento che paghiamo poco il cibo che mettiamo sulle nostre tavole. E quindi è sparendo veramente che sperano di far notare la loro presenza:

 

se le loro richieste non saranno accolte, sciopereranno in piena stagione di raccolto. I campi saranno vuoti, senza nessuno che zappi la terra, che raccolga i prodotti: “Condizioneremo la stagione di raccolta. Il ministro delle politiche agricole dovrebbe venire ad ascoltarci nel fango della miseria e dello sfruttamento. Andasse il ministro del Lavoro a zappare la terra e si renderebbe conto che la maggior parte dei braccianti hanno problemi di schiena. Il presidente Draghi venisse ad ascoltare le nostre ragioni. I campi, in piena stagione, saranno deserti”. 

Quello che i manifestanti chiedono – trainati da Soumahoro, italo-ivoriano, attivista della Lega Braccianti – è anche il rilascio del permesso di soggiorno per emergenza sanitaria e il vaccino per tutti: “Serve un permesso di soggiorno per emergenza sanitaria che sia convertibile per attività lavorativa. Uno strumento indispensabile. Ci sono donne che non riescono a fare visite ginecologiche. Viviamo una disuguaglianza vaccinale. Perché non dare l’accesso ai lavoratori, agli invisibili, per metterli in sicurezza? I senza casa, i precari, devono essere vaccinati”.

Un’altra proposta da tempo portata avanti da Soumahoro è l’introduzione della “patente del cibo”: una riforma della filiera agroalimentare che parta dai semi fino alle forchette, che garantisca alle cittadine e ai cittadini un cibo eticamente sano. Lo Stato deve intervenire per assicurarsi che a zappatori e contadini venga garantito il rispetto dei diritti salariali, previdenziali, di sicurezza sul lavoro. La tutela parte dai contadini, passa dai rider e arriva fino ai cittadini: “Uno strumento messo a disposizione dallo Stato e non dalla filiera delle etichette, che vedono aziende pagare strutture terze per dire che loro rispettano diritti. Lanceremo un’iniziativa di legge popolare per elaborare una proposta di legge di riforma della filiera agricola, con l’introduzione della patente del cibo”.

Braccianti, italiani e di altra provenienza geografica subiscono miseria, fame, sfruttamento, caporalato. Gli stessi ai quali durante la pandemia è stato chiesto di continuare a lavorare, a produrre cibo per le famiglie confinate in casa. Indispensabili, ma invisibili. Senza tutele: “Avevamo una norma sul caporalato, la 1369 del 1960, abolita dal governo Berlusconi nel 2003: riguardava il divieto di intermediazione e interposizione nella prestazione di lavoro. È stato distrutto tutto, delegando alla magistratura quello che deve essere il compito della politica, del sindacato, degli ispettori del lavoro, dei centri dell’impiego”. Soumahoro cita il sindacalista Giuseppe Di Vittorio, le sue domande che gli suonano ancora attuali: “È giusto che in Italia mentre i grandi monopoli continuano a moltiplicare i loro profitti e le loro ricchezze, ai lavoratori non rimangano che le briciole? È giusto che il salario dei lavoratori sia al di sotto dei bisogni vitali dei lavoratori stessi e delle loro famiglie? È giusto questo?”.

“Accetto lo sfruttamento perché altrimenti non avrei da mangiare” –

 

 I braccianti senza diritti sono italiani o stranieri. Per entrambi lavorare in nero significa accogliere un compromesso: lo sfruttamento in cambio del cibo. Senza quel lavoro non avrebbero da mangiare, accettano allora quel lavoro nonostante le condizioni mortificanti.

Ce lo racconta Mamadou, 41 anni, partito dall’Africa nel 2015 e sbarcato a Lampedusa. Nella sua terra d’origine ha lasciato la famiglia, i genitori e il figlio sono morti poco tempo dopo che lui se ne era andato. Ora lui vive nel “Gran Ghetto” di Torretta Antonacci, in provincia di Foggia, dove tra container e baracche dormono numerosi braccianti agricoli. Un mese fa un gruppo di individui armati li ha attaccati, due raid nel giro di 48 ore, in cui i braccianti erano come prede per cacciatori. “Avevano in mano pistole. Avevo paura di morire. È stato terribile”, ricorda Mamadou.

Lui si sveglia tutte le mattine alle 4, poi lavora per circa dodici ore: “Il lavoro in nero costa poco per loro. Alcuni non ci pagano proprio: non ho un documento, non ho un contratto, non posso dimostrare di aver lavorato”. Di Soumahoro parla con ammirazione: “Ci insegna cosa sono i diritti e qui mancano. Ci fa avere del cibo ogni tanto. D’inverno c’è poco lavoro, la gente non ha i soldi neanche per comprarsi da mangiare”. Forte dell’insegnamento di Soumahoro, Mamadou è pronto a chiedere di più: “Non sappiamo quando questo finirà, continueremo a manifestare per avere un cambiamento. Anche se non possiamo avere tutto quello che chiediamo, ci basta qualcosa per migliorare”.

 

 

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