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Europa invasa da riso japonica del Myanmar

L’Europa è invasa da migliaia di tonnellate di riso japonica lavorato, che non paga dazio. Probabilmente si tratta di una doppia beffa: pare che si tratti di varietà japonica molto simili all’indica. Nel mese di aprile 2019 sono entrate 11.261 tonnellate di lavorato japonica e in maggio circa 18.000, portando il dato totale della presente campagna (settembre 2018 – maggio 2019) a 52.076 tonnellate, con un incremento di 31.167 tonnellate (+149%) su base annua. Poiché il riso di tipo Japonica non è interessato dall’applicazione della clausola di salvaguardia, le importazioni di riso Japonica avvengono senza il pagamento del dazio e arrecano un danno alla coltivazione del riso europeo in quanto tale tipologia rappresenta il 75% della produzione totale di riso nell’Ue: proprio per questo, esistono le condizioni perché la Commissione europea adotti la clausola di salvaguardia sul riso japonica lavorato d’importazione. “Non intendiamo attendere anni, com’è avvenuto per la Cambogia – spiega il presidente dell’Ente Risi Paolo Carrà – anche perché i prezzi dei risoni sono depressi e i risicoltori si stanno impoverendo. La Commissione europea può e deve agire tempestivamente, anche senza la necessità di una domanda da parte di uno Stato Membro perché è minacciata una produzione tipica europea, qual è il riso japonica. Bruxelles deve aprire un’inchiesta al fine di accertare le condizioni per il ripristino dei normali dazi della tariffa doganale comune anche per questo riso; contemporaneamente, dovrebbe effettuare controlli sistematici presso i porti in cui avviene lo sbarco di questo prodotto così da verificare se queste importazioni non siano in realtà riferibili a riso di tipo Indica ma dichiarate come riso Japonica all’unico scopo di aggirare la clausola di salvaguardia». L’Ente Risi ha presentato il problema sia a livello europeo, nell’ambito del Comitato di gestione, che nazionale, con una lettera del presidente Carrà al ministro delle politiche agricole Gian Marco Centinaio. “Da parte del Mipaaft – sottolinea Carrà – c’è grande impegno per la difesa del made in Italy, come dimostra l’impegno di Centinaio sul dossier Cambogia e l’attenzione che ha riservato in questi mesi al problema dell’ex Birmania. Non dimentichiamo che il Paese da cui proviene il riso lavorato è lo stesso che ha deportato la popolazione Rohingya, così come gravi violazioni dei diritti umani sono state segnalate anche in Cambogia”.

 

“Non intendiamo attendere anni, com’è avvenuto per la Cambogia – spiega il presidente dell’Ente Risi Paolo Carrà -, anche perché i prezzi dei risoni sono depressi e i risicoltori si stanno impoverendo. La Commissione europea può e deve agire tempestivamente, anche senza la necessità di una domanda da parte di uno Stato Membro perché è minacciata una produzione tipica europea, qual è il riso japonica. Bruxelles deve aprire un’inchiesta al fine di accertare le condizioni per il ripristino dei normali dazi della tariffa doganale comune anche per questo riso; contemporaneamente, dovrebbe effettuare controlli sistematici presso i porti in cui avviene lo sbarco di questo prodotto così da verificare se queste importazioni non siano in realtà riferibili a riso di tipo Indica ma dichiarate come riso Japonica all’unico scopo di aggirare la clausola di salvaguardia». L’Ente Risi ha presentato il problema sia a livello europeo, nell’ambito del Comitato di gestione, che nazionale, con una lettera del presidente Carrà al ministro delle politiche agricole Gian Marco Centinaio. «Da parte del Mipaaft – sottolinea Carrà – c’è grande impegno per la difesa del made in Italy, come dimostra l’impegno di Centinaio sul dossier Cambogia e l’attenzione che ha riservato in questi mesi al problema dell’ex Birmania. Non dimentichiamo che il Paese da cui proviene il riso lavorato è lo stesso che ha deportato la popolazione Rohingya, così come gravi violazioni dei diritti umani sono state segnalate anche in Cambogia».

 

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