Perché abbiamo bisogno di clausole specchio: il caso del riso
In un nuovo rapporto, Slow Food Italia chiede all’Unione europea di porre fine ai doppi standard applicati al cibo importato e di utilizzare le cosiddette clausole specchio per garantire che il cibo extraeuropeo sia almeno conforme agli standard stabiliti per quello prodotto in Ue.
Lo fa analizzando tre filiere – soia, riso e manzo – dimostrando gli effetti negativi sulla salute delle persone, degli animali e degli ecosistemi nei Paesi produttori – soprattutto nel Sud del mondo – e la concorrenza sleale a danno degli agricoltori europei.
Il riso è il cereale più utilizzato al mondo per l’alimentazione umana e il terzo nella classifica globale delle superfici dedicate.
Nel genere Oryza si distinguono due specie, l’Oryza sativa, diffusa in tutto il mondo, e l’Oryza glaberrima, il riso rosso coltivato soltanto nell’Africa occidentale. Alla specie sativa appartengono due grandi varietà: l’Indica, che copre l’80% della produzione mondiale e la Japonica, coltivata principalmente in Europa, Stati Uniti e Australia.
Globalmente si stima una produzione di 515 Mt (campagna 2021/22), con Cina e India che producono il 50% del totale; ma sono India, Thailandia e Vietnam a dominare il mercato mondiale con il 66% del commercio.
L’Ue arriva a circa 2,8 milioni di tonnellate di risone all’anno (riso grezzo con lolla), ovvero 1,6 milioni di tonnellate di riso lavorato, a fronte di un consumo di 2,6 milioni di tonnellate.
La produzione europea si concentra principalmente (80%) in Italia e Spagna. L’Italia è il primo Paese produttore d’Europa, con il 49%, seguita da Spagna, Francia, Grecia e Portogallo.
L’Italia possiede una grande biodiversità varietale, e produce sia Japonica che Indica. Alcune varietà di Japonica, quali Arborio, Carnaroli, Vialone Nano, si producono esclusivamente in questo Paese.
Le aziende produttrici sono in diminuzione: quasi 10.000 degli anni Ottanta del Novecento, oggi sono circa 4.100. Cresce invece la superficie media aziendale, che oggi è di 52,6 ettari. Le industrie di trasformazione sono nei territori di produzione: Lombardia, Piemonte e Veneto. Gli impianti industriali attivi sono 98, ai quali si aggiungono 68 impianti annessi alle aziende agricole.
Nel 2022 la superficie coltivata a riso in Italia ammontava a 218.421 ettari, con una diminuzione di 8.617 ettari (-3,8%) rispetto al 2021, confermando il trend degli ultimi 15 anni. La resa 2022 risulta condizionata dalla più importante siccità degli ultimi 70 anni, che ha determinato una riduzione di 1.269.218 tonnellate, cioè -15,2% rispetto al 2021.
Nella campagna 2022/2023 le esportazioni dall’Italia verso i Paesi Terzi si sono attestate a 135.328 tonnellate, in calo di 35.792 rispetto alla campagna 2021/2022; contestualmente le importazioni hanno raggiunto un volume complessivo di 257.763 tonnellate, con un decremento del 12% rispetto al volume record della campagna precedente. Le importazioni dell’Italia dai Paesi dell’Unione europea si attestano a 45.502 t, facendo segnare un calo del 9%.
Le importazioni dai Paesi extra-Ue ammontano a 212.261 t, con un calo del 13% rispetto alla campagna precedente, ma complessivamente nell’ultimo decennio le importazioni da Paesi extra-Ue sono passate dal 69 all’82%.
Con 69.289 t il Pakistan è il principale fornitore, ma con un calo dei flussi verso l’Italia dell’1,3%. Segue il Myanmar che, con 46.177 t, vede ridursi di oltre il 48% l’export verso l’Italia. Compensano l’India (+16.145 t; +143%), la Cambogia (+8.796 t; +104%) e i Paesi del Mercosur, con 4.265 t contro le 583 della precedente campagna. Le 5.020 t importate dall’Australia rappresentano un dato mai registrato in precedenza.
Negli ultimi anni la produzione europea è diminuita, mentre il consumo è in aumento. L’Ue importa circa il 40% del suo fabbisogno, prevalentemente da Paesi asiatici. Gli Stati dell’Ue esportano relativamente poco riso. L’Italia è il principale esportatore UE, con quasi il 47% dei volumi, seguita a distanza da Spagna e Belgio.
Tra il 1° settembre 2022 e il 31 agosto 2023 sono state collocate sul mercato dell’UE 497.813 t di riso, con un decremento del 7% rispetto alla campagna precedente. Anche il collocamento del riso sul mercato italiano è sceso dell’8,4%, rispetto alle 441.465 della campagna 2020/21.
Agrotossici e dazi
Anche sul riso la questione centrale, per quel che riguarda le clausole specchio, è quella degli agrotossici. In Ue 195 molecole fitosanitarie sono vietate e 269 non approvate al 01/04/2022. In India, le molecole vietate sono solo 56 e addirittura 4 molecole erbicide autorizzate -cynmethylin, flucetosulfuron, pyrazosulfuron, triafamone – sono sconosciute in Europa.
Tuttavia, forse, qualcosa si sta muovendo. A novembre 2023 il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di ritirare la proposta (che già non era stata appoggiata a maggio 2023) sull’aumento dei limiti per il triciclazolo (fungicida vietato nell’Unione europea dal 2016, ma usato in molti Paesi produttori di riso) da 0,01 a 0,09 mg/kg. Il ritiro della proposta è caldeggiato anche dalle associazioni di categoria, che chiedono l’avvio automatico delle clausole di salvaguardia se le importazioni superano un determinato quantitativo, anche per evitare un dumping ai danni dei produttori europei.
La situazione dei dazi non è d’aiuto: diversi accordi internazionali consentono di importare riso nell’Ue a dazio zero da Vietnam, Egitto, Caraibi, Laos, Cambogia, Myanmar, India, Pakistan. Il dazio di importazione generale sul risone è fisso, ma i dazi sul riso integrale (cargo) e sul riso lavorato possono cambiare ogni 6 mesi a seconda delle quantità importate nei 6 mesi precedenti.
Il Regolamento Ue 2019/67, che ha reintrodotto dazi d’importazione decrescenti per alcuni prodotti a base di riso provenienti da Myanmar e Cambogia per un periodo di 3 anni, è giunto a scadenza il 18 gennaio 2022, incoraggiando nuovamente gli Stati membri ad acquistare riso da Myanmar e Cambogia.
Ancora una volta appare chiaro come sia di fondamentale importanza che il riso importato in Europa da Paesi terzi venga prodotto rispettando gli stessi vincoli e le stesse logiche di cautela che gli agricoltori europei sono tenuti a rispettare per le loro produzioni.