Politiche agricole

Con il “no deal” britannico agricoltura italiana ed europea a rischio dazi

Purtroppo sembra sempre più probabile un “no deal” per la Brexit. Ovvero una separazione della Grana Bretagna dalll’Unione europea senza alcun accordo commerciale. Fatto che significherebbe dal 1 gennaio prossimo il ripristino di dazi e dogane con gravi conseguenze per prodotti italiani. La prospettiva in assoluto più negativa per il settore agricolo italiano ed europeo.
Nel frattempo il Consiglio europeo rammenta che il periodo di transizione terminerà il 31 dicembre 2020 e rileva con preoccupazione che i progressi sulle principali questioni di interesse per l’Unione non sono ancora sufficienti per raggiungere un accordo.Il Consiglio europeo, da parte sua, ribadisce la determinazione dell’Unione ad avere un partenariato quanto più stretto possibile con il Regno Unito sulla base delle direttive di negoziato del 25 febbraio 2020, nel rispetto degli orientamenti e delle dichiarazioni del Consiglio europeo concordati in precedenza, in particolare delle dichiarazioni del 25 novembre 2018, soprattutto per quanto riguarda la parità di condizioni, la governance. 
Nonostante la crisi globale da Covid-19, l’export del Made in Italy agroalimentare verso il Regno Unito, con un valore di 2,2 miliardi di euro tra gennaio e agosto, cresce del 5% sullo stesso periodo del 2019. Cia-Agricoltori Italiani commenta i dati Istat, mettendo in rilievo il rischio per 40mila aziende italiane di perdere un importante sbocco commerciale senza l’accordo post Brexit,. L’impatto di un “no deal” sul settore agroalimentare interromperebbe una scia positiva che ha portato nel decennio 2010-20 a un aumento del 46% nelle esportazioni del cibo Made in Italy Oltremanica.
“Senza un accordo – sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – i mercati agricoli Ue sarebbero esposti a una grave condizione di instabilità, tenuto conto che oltre il 70% delle importazioni agroalimentari del Regno Unito arriva dagli Stati membri dell’Unione. I controlli penalizzerebbero, in particolare, i prodotti più deperibili. Il tempo è limitato, ma è ancora possibile raggiungere un’intesa fondata sull’assenza di contingenti e dazi doganali, in modo da consolidare gli attuali flussi commerciali bilaterali. Per l’Italia è anche essenziale il riconoscimento e la tutela dei prodotti a indicazione geografica protetta, che incidono per oltre il 30% sulle nostre esportazioni agroalimentari destinate al mercato britannico”.
Dal 1° gennaio 2021, con una Brexit “no deal”, le vendite di prodotti tricolore rischierebbero una forte contrazione a causa dell’introduzione di barriere tariffarie, di una minore domanda interna e del deprezzamento della sterlina. Il Regno Unito -ricorda Cia- è il quarto mercato di sbocco per l’export agroalimentare nazionale, che nel 2019 ha raggiunto i 3,4 miliardi di euro. Nella top ten dei prodotti più esportati, il vino resta il prodotto più venduto (19%), seguono l’ortofrutta trasformata (14%), prodotti da forno e farinacei (10%), i lattiero-caseari (10%) e le carni trasformate (+6%). Hanno un forte impatto su questo primato i prodotti a indicazione geografica protetta (Igp), che incidono per oltre il 30% sulle nostre esportazioni verso Londra e non saranno più riconosciute e tutelate in territorio britannico, senza un accordo commerciale.

 

 

 

 

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