Politiche agricole

Carlo Petrini ai potenti: “Glasgow deve essere la Cop delle azioni”

Dal 1995 i leader mondiali si incontrano ogni anno per parlare di clima. La Cop26 iniziata domenica 31 ottobre a Glasgow è dunque la ventiseiesima edizione di questi summit. Nel frattempo la questione è diventata un’emergenza; chiaro segnale che in tutti questi anni poco o nulla sia stato fatto.

Le premesse con cui si è aperto il vertice di Glasgow non sono però le migliori: Cina e Russia (che da sole emettono oltre il 30% dei gas climalteranti in atmosfera) non parteciperanno fisicamente ai negoziati, e a Roma i membri del G20 non sono riusciti a giungere a un pre accordo ambizioso sull’emergenza climatica. Il rischio è che ancora una volta la Cop diventi il luogo in cui decisori politici si riuniscono alla ricerca di un colpevole contro cui puntare il dito, o per porsi quesiti teorico-ideologici.

Questi sono vezzi che non possiamo più permetterci; la crisi climatica è qui, ed ora. Ce lo dicono gli scienziati attraverso le ultime previsioni di aumento della temperatura di 2.7 gradi entro fine secolo. Ce lo dimostra la natura stessa attraverso i disastri sempre più intensi, frequenti e ahimè inaspettati. Quanto successo in Sicilia con Medicane è un esempio: gli scienziati sostenevano che gli uragani non potessero originarsi nella regione mediterranea. Eppure è accaduto perché il clima è cambiato. E se vogliamo cercare di mitigare questi eventi e garantire un futuro a lungo termine – quantomeno vivibile – alla specie umana, Glasgow deve essere la Cop delle azioni.

La nota positiva è che per il cambio di rotta richiesto, i rappresentanti dei governi riuniti a Glasgow non dovranno munirsi di bacchetta magica alla ricerca di soluzioni e azioni impossibili. Pensiamo ad esempio al sistema agroalimentare. Un settore che nel suo complesso è responsabile di circa il 34% delle emissioni, di cui il 18% riconducibile all’allevamento e ai suoi 60 miliardi di capi, e l’8% al cibo prodotto, ma sprecato. Che con il suo agire predatorio (monocoltura, pesticidi e fertilizzanti i grandi quantità) contribuisce al degrado del suolo: ci sono oltre un miliardo di ettari di terreni abbandonati, perché esauriti da pratiche che ne hanno impoverito la fertilità.

Una criticità quella del suolo acuita dalla crisi climatica; a sua volta intimamente legata all’insicurezza alimentare delle persone che vivono di agricoltura e allevamento, che diventa fattore di espulsione (nel 2050 saranno 216 milioni i migranti climatici). I problemi sono chiari, ma per fortuna lo sono anche le soluzioni.

Ripristino delle terre agricole mediante pratiche rigenerative quali l’agroecologia, che offre l’opportunità di migliorare la sicurezza alimentare, i mezzi di sostentamento degli agricoltori, la salute degli ecosistemi e il sequestro di carbonio. Sistemi alimentari più sostenibili che favoriscono la biodiversità e una dieta a prevalenza vegetale. Il contrasto allo spreco, fortemente influenzato dalle leggi distorte del mercato.

Ho parlato di sistema alimentare, ma nell’attualità, per ogni grande contribuente del cambiamento climatico: energia, mobilità, produzione etc., conosciamo già le soluzioni da implementare affinché si riduca l’impatto di questi settori sulla crisi in atto. E chi si oppone in nome degli alti costi di transizione, forse non tiene conto del prezzo da pagare per l’inazione.

Ciò che viene chiesto ai Governi presenti alla Cop26 è dunque una forte e unanime volontà di cambiare paradigma.

Bisogna mettere un punto fermo al capitolo della nostra storia iniziato tre secoli fa con la rivoluzione industriale, e avviare la nuova epoca di transizione ecologica.

A livello di società civile c’è fermento e il cambiamento sta già avvenendo, spinto soprattutto dalle giovani generazioni. Anche le aziende stanno modificando la loro offerta in linea con le nuove esigenze dei consumatori: tracciabilità delle filiere, rispetto di alti standard ambientali e sociali, pratiche circolari.

Tutto ciò deve però diventare prassi – nella sostanza e non solo a parole – anche a livello istituzionale. La politica deve favorire la transizione, mettendo i cittadini e le imprese nelle condizioni di fare scelte giuste e durature per l’ambiente e per l’intera collettività umana. Affidiamo alla Cop26 la speranza di farsi carico di queste richieste. Nel mentre come società civile impegniamoci affinché attraverso l’incontro e il dialogo sui territori, la transizione ecologica raggiunga le coscienze di milioni di individui e favorisca la nascita di nuovi comportamenti.

 

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