Politiche agricole

Peste Suina: si chiedono al Governo interventi immediati e risorse per gli allevamenti

 Il tempo dell’attesa e dell’indecisione è finito con il primo caso di PSA riscontrato  in un allevamento di suini nei dintorni di Roma. Per Confagricoltura, quanto accaduto era facilmente prevedibile ed evitabile se si fossero messe in atto le necessarie misure di prevenzione.

La minaccia, rappresentata dalla Peste Suina, è stato uno dei temi affrontati dal presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, nel corso degli incontri avuti ieri sera e stamani con alcuni rappresentanti del Governo.

La Confederazione esprime forte preoccupazione per i rischi a cui l’intero comparto suinicolo nazionale oggi è esposto e torna a chiedere interventi radicali e immediati per il contenimento della popolazione dei cinghiali allo stato brado, principali vettori del virus.

La stessa concretezza e velocità sono necessarie sul fronte economico, riconoscendo alle aziende colpite sostegni per gli interventi di biosicurezza e ristori per i danni. La Confederazione continuerà a tenere alta l’attenzione sul tema fino a quando non si concretizzeranno i provvedimenti ormai non più rinviabili.

Cia-Agricoltori Italiani chiede 50 milioni di indennizzi garantiti e immediati per sostenere le aziende colpite e il settore suinicolo nazionale, oltre a quelli già stanziati dal Governo ma ancora non liquidati. “Si sta perdendo tempo prezioso, i piani di abbattimento della fauna selvatica vanno a rilento nel Nord Ovest -solo 2mila ungulati sui 50mila stimati- e a Roma non sono neppure cominciati. Nel frattempo, le aziende colpite non hanno ancora ricevuto un euro di indennizzi, in un momento di generale crisi di redditività per la suinicoltura, per i forti rincari energetici e il prezzo del mais alle stelle”. Questo il commento del Presidente nazionale Cia, Cristiano Fini, dopo il ritrovamento dei primi due suini infetti in Italia, che potrebbero portare Bruxelles a dichiarare la temuta fase 3 dell’emergenza, con il passaggio del virus dal cinghiale al maiale domestico.

Cristiano Fini chiede, dunque, al Governo un intervento deciso sul piano di abbattimenti dei cinghiali, non più rimandabile e auspica in questa fase un maggiore coinvolgimento delle associazioni agricole. Sul versante dei ristori, Fini non ritiene assolutamente sufficienti i 25 milioni stanziati dal Decreto governativo per indennizzare gli allevatori, dopo i primi casi rinvenuti in Piemonte e Liguria. Queste risorse non potranno bastare ora che la PSA ha colpito altri due importanti areali a Roma e nel reatino (circa 2mila aziende) e minaccia pericolosamente Umbria, Abruzzo e Toscana. Gli allevatori di suini dovranno, infatti, bloccare la loro attività per almeno sei mesi, con la macellazione cautelativa e il divieto di ripopolamento delle stalle. Al danno per la zootecnia si aggiunge lo stop alla commercializzazione dei foraggi (paglia, fieno) per gli agricoltori in tutte queste zone rosse (si stimano almeno 10 milioni di mancato reddito).

“Anche le altre risorse stanziate dal Governo per le misure di biosicurezza negli allevamenti sono da implementare con urgenza -dichiara Fini-. Senza considerare il rischio che il ritrovamento dei primi suini infetti possa indurre Bruxelles a chiedere all’Italia un severo incremento di tali misure. Questo potrebbe riguardare non solo le aziende delle zone rosse in Piemonte, Liguria e Lazio, ma tutti i 132mila allevamenti suinicoli sul territorio italiano, con un danno incalcolabile per il settore”.

“Il Governo metta in campo tutti gli strumenti a disposizione della struttura commissariale -conclude Fini- prima che metta a repentaglio tutto il comparto suinicolo nazionale, da cui dipendono 11 miliardi di fatturato e 70mila addetti nella filiera delle carni suine, punta di diamante del Made in Italy. Sono a rischio 21 Dop e 12 Igp che rendono la nostra salumeria unica al mondo, con un valore annuo complessivo di 1,6mld di export”. L’importanza della filiera è confermata anche dai consumi nazionali, considerando che -secondo Cia- i prodotti a base di carne suina rappresentano circa l’8% degli acquisti nel carrello della spesa degli italiani.

Per salvare gli allevamenti occorre dare risposte concrete con il contenimento del numero di cinghiali e risarcimenti immediati alle aziende costrette ad abbattere i loro animali, vittime dell’immobilismo degli ultimi anni delle istituzioni, nonostante le tante denunce ed iniziative messe in campo da Coldiretti. E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini dopo l’annuncio del Commissario straordinario all’emergenza, Angelo Ferrari, di un piano per l’abbattimento di un migliaio di maiali in un allevamento del Lazio, dopo la scoperta di due animali positivi alla peste suina.

“Si è avverato ciò che non avremmo mai voluto, con la peste dei cinghiali che è arrivata all’interno di un allevamento” sottolinea Prandini nel denunciare il pericolo che il fenomeno possa dilagare boicottando il lavoro e il sacrificio di intere generazioni e una filiera d’eccellenza del Made in Italy. “E’ importante il coinvolgimento del Ministero della Sanità – continua il presidente della Coldiretti – per debellare la malattia in tempi brevi e togliere i vincoli alla capacità produttiva e alle esportazioni su tutto il territorio nazionale, dove migliaia di maiali sani sono già stati abbattuti nonostante siano stati registrati due soli casi di positività”.      

Sono quasi cinquantamila i maiali allevati nel Lazio a rischio per la peste suina africana (Psa) – ricorda Coldiretti – che è spesso letale per questi animali, ma non è, invece, trasmissibile agli esseri umani e nessun problema riguarda la carne. A scatenare la diffusione della malattia è il proliferare indiscriminato dei cinghiali e per questo – continua la Coldiretti – è necessario intervenire con la modifica immediata dell’art. 19 della legge 157/1992 semplificando le procedure per l’adozione dei piani di abbattimento approvati dalle regioni e il rafforzamento delle competenze dell’ufficio commissariale previsto dal Decreto Legge 17 febbraio 2022, n. 9. Il rischio – conclude Coldiretti – è che l’emergenza si allarghi e che siano dichiarate infette le aree ad elevata vocazione produttiva con il conseguente pregiudizio economico che potrebbe discendere per la filiera agroalimentare e l’occupazione in un settore strategico del made in ltaly.

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