Bene il Made in Italy, ma sul futuro prevale l’incertezza
Secondo i dati diffusi di recente dall’Organizzazione mondiale del commercio, dal 2014 al 2023 l’export dell’Italia, misurato in dollari correnti, è aumentato del 48%. Si tratta della percentuale più alta tra i Paesi del G7. E le prospettive sono favorevoli.
Le ultime previsioni della SACE, la società che sostiene l’internazionalizzazione delle imprese, indicano che le esportazioni totali di merci dell’Italia potrebbero salire a 652 miliardi di euro a fine 2024, grazie anche una ripresa del commercio internazionale stimata poco al di sotto del 2 per cento, dopo la stagnazione registrata nel 2023.
Per quanto riguarda nel complesso il settore agroalimentare, la SACE ritiene che continueranno a crescere le esportazioni, migliorando così il livello record di 64 miliardi di euro raggiunto nel 2023, con un aumento del 5,7% sull’anno precedente. Il divario rispetto alla Spagna è ormai ridotto a sei miliardi. Anche l’export delle industrie alimentari ha toccato lo scorso anno il massimo storico di 52 miliardi. Nell’arco di dieci anni, è praticamente raddoppiato. Nel 2023, ad esempio, le esportazioni di formaggi sono salite in volume di quasi sei punti percentuali sull’anno precedente. Anche l’export di prodotti ortofrutticoli freschi è aumentato in termini di valore di oltre il 9 per cento. Per la pasta, le vendite all’estero sono ormai più rilevanti del mercato interno.
Insomma, c’è una crescente attenzione a livello mondiale nei confronti del “Made in Italy” agroalimentare, ma non bisogna sottovalutare alcune situazioni di criticità. Dal rallentamento economico della Germania che è il primo mercato di sbocco; all’incerto andamento dell’economia cinese, fino alle tensioni presenti nello scenario geopolitico. Inoltre, l’esito delle elezioni presidenziali a novembre negli USA potrebbe innescare la ripresa di politiche protezionistiche con l’aumento delle tariffe doganali.
L’attenzione va anche rivolta alle difficoltà emerse per le vendite all’estero di vino. In controtendenza rispetto all’andamento generale, secondo i dati resi noti dall’Osservatorio dell’Unione Italiani Vini, nel 2023 le esportazioni sui cinque principali mercati di sbocco – che valgono il 56% del totale – sono diminuite del 4,4% in volume e di oltre il 7% in termini di valore. Il calo delle vendite all’estero ha interessato, indistintamente, tutti i principali Paesi produttori di vini. Vanno aperti nuovi mercati sui quali collocare i nostri prodotti e, a questo riguardo, la promozione riveste un ruolo fondamentale.
L’eccezionale aumento dell’inflazione sembra ormai alle spalle e, a breve, la Banca centrale europea potrebbe avviare la fase di riduzione dei tassi d’interesse. Tuttavia, sullo scenario internazionale continua a prevalere una condizione di grande incertezza. Il futuro è difficile da interpretare. Servirebbero, in questo contesto, una più stretta collaborazione e una visione condivisa tra le filiere del settore agroalimentare, per far salire il valore aggiunto complessivo e la competitività sui mercati internazionali. In questa direzione si colloca la costituzione di “Mediterranea”, decisa da Confagricoltura e Unione Italiana Food, per avvicinare sempre di più – nell’ottica dell’efficienza e dell’innovazione – gli anelli della catena agroalimentare: dal campo al prodotto finito.
Per il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, in occasione della giornata del ‘Made in Italy’ “Si profila un nuovo record per il ‘Made in Italy’ agroalimentare. Nel 2023 le esportazioni hanno raggiunto i 64 miliardi di euro, circa il 10% sul totale delle vendite all’estero dell’Italia. Alla fine di quest’anno potrebbero far registrare un ulteriore aumento in valore nell’ordine di sei punti percentuali”. Lo dichiara .
“Sulle prospettive dell’economia pesano le crescenti tensioni internazionali, l’aumento del costo dei trasporti navali e dei prodotti energetici, ma se le previsioni saranno confermate, risulterebbe sostanzialmente colmato il divario nei confronti della Spagna. Un risultato che sembrava fuori portata fino a pochi anni fa”, sottolinea Giansanti.
In tutto il mondo, alle nostre produzioni vengono riconosciuti requisiti di gusto, qualità e sostenibilità difficilmente eguagliabili, anche perché legati all’eccellenza della Dieta Mediterranea. Dietro ai successi c’è anche l’impegno costante di tutte le imprese della filiera per interpretare i segnali che arrivano dal mercato, anticipare l’evoluzione della domanda e far crescere, grazie agli investimenti e alle innovazioni, la competitività. I punti di forza del nostro sistema sono costituiti dalla differenziazione produttiva, dalla flessibilità e dall’apertura alle innovazioni tecnologiche. Proprio per valorizzare al massimo questi requisiti competitivi sul mercato interno e a livello internazionale, Confagricoltura e Unione Italiana Food hanno costituito “Mediterranea”.
“L’agricoltura italiana è stabilmente ai primi posti in Europa per valore aggiunto. Aggiungendo, quindi, ai punti di forza del settore industriale, la qualità e l’eccellenza delle produzioni agricole italiane, risulta evidente che il settore agroalimentare del Paese ha le potenzialità per diventare il ‘numero uno’ al mondo. Le nostre esportazioni possono salire nel medio termine fino a 100 miliardi di euro”, puntualizza il presidente della Confagricoltura.
Certo occorre migliorare la logistica per abbattere i costi di trasporto più alti rispetto alla concorrenza. Va rafforzata l’assistenza alle imprese che intendono cimentarsi sui mercati internazionali. Occorre puntare sull’apertura di nuovi sbocchi e sul miglioramento della presenza dove, come nel continente asiatico, risulta attualmente inferiore alle potenzialità che sono significative. In Cina, ad esempio, le esportazioni agroalimentari italiane sono attestate a soli 580 milioni di euro. In Giappone, il consumo pro-capite del ‘Made in Italy’ di settore è di soli otto euro, contro i 20 che si registrano negli Stati Uniti.
“Resta il fatto – conclude Giansanti – che per esportare di più occorre, prima di tutto, produrre di più. Obiettivo che può essere centrato solo se le imprese della filiera, dal campo, dagli allevamenti al prodotto finito, sono efficienti, competitive e in grado di assicurare una adeguata marginalità economica